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Welfare Aziendale
Servizi che danno colore al lavoro dei dipendenti e alla vita privata
Welfare Aziendale

Febbraio 17, 2025
Welfare Aziendale
Esenzione fringe benefit, ecco che cosa cambia per il 2025
Negli ultimi due anni, sono state tante le novità ai decreti di fine anno che riguardavano da vicino il mondo del lavoro. Ma cosa cambia nel 2025?
Per il triennio 2025-2027, grazie alla Legge di Bilancio 2025, la soglia di esenzione viene confermata a 1.000€ anno/dip. Sale a 2.000€ per i soli lavoratori con figli fiscalmente a carico.
Cosa sono i fringe benefits e perché riconoscerli al dipendente
Quali sono le novità 2025 sulla tassazione dei fringe benefit
Fringe benefit e auto aziendali
Cadhoc il fringe benefit ideale per azienda e dipendenti
Cadhoc nel welfare aziendale
COSA SONO I FRINGE BENEFITS E PERCHÉ RICONOSCERLI AL DIPENDENTE
I fringe benefits sono beni e servizi erogati dalle aziende ai dipendenti su base volontaria, nell’ambito di politiche di welfare aziendale volte a migliorare la qualità della vita e la produttività dei collaboratori. Essi sono costituiti sia da strumenti e agevolazioni che migliorano e facilitano la vita lavorativa del dipendente, sia da benefici di cui i collaboratori possono usufruire nella loro sfera privata, durante il tempo libero, per perseguire i propri interessi, e a cui possono avere accesso anche le famiglie. Alcuni esempi sono i buoni spesa e i buoni acquisto per beni e servizi di vario genere, come viaggi e vacanze con il welfare aziendale.
I fringe benefit sono benefici accessori che, in passato, molte aziende vedevano solo come costi aggiuntivi da evitare il più possibile, oppure come vantaggi a cui avevano diritto solo i dipendenti delle grandi aziende. Il massimo che veniva concesso ai lavoratori era una gratifica in busta paga, più o meno generosa, se il bilancio di quell’anno mostrava un segno positivo.
Oggi, invece, sempre più imprese, anche di medie e piccole dimensioni, sono attente alle esigenze dei propri collaboratori e si sono rese conto del valore aggiunto che comporta la concessione di questo tipo di agevolazioni, a partire dallo smart working, sempre più diffuso. Questo perché ci si è accorti che i dipendenti appagati e soddisfatti sono più produttivi e rappresentano quindi un vantaggio per l’azienda, che vedrà così aumentare il proprio potenziale. Inoltre, i fringe benefit non concorrono a formare il reddito del lavoro dipendente (art. 51 comma 3 del TIUR), cosa che costituisce un altro grande vantaggio per il lavoratore.
Riconoscere i fringe benefits al dipendente significa investire nel capitale umano della propria impresa, e questo è importante perché:
I dipendenti che si sentono più gratificati e meno stressati sono più produttivi;
si crea un rapporto di fiducia più stretto tra l’impresa e i suoi collaboratori;
si riduce il turnover;
la reputazione aziendale subisce un miglioramento visibile;
le persone talentuose in cerca di lavoro vengono invogliate ad entrare a lavorare in azienda;
Inserire i fringe benefit nel proprio piano di welfare aziendale è conveniente per le aziende anche da un punto di vista fiscale, perché ad essi il fisco riserva una tassazione agevolata. In questo caso, l’importo esente dei fringe benefit può essere riconosciuto anche per i rimborsi delle utenze domestiche di acqua, luce e gas naturale (no GPL), delle spese sostenute per l’affitto e degli interessi sul mutuo della prima casa.
QUALI SONO LE NOVITÀ 2025 SULLA TASSAZIONE DEI FRINGE BENEFIT
È bene ricordare che la norma a cui fare riferimento è l’articolo 51, comma 3, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che disciplina la tassazione del reddito da lavoro dipendente.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate ha riassunto tutte le novità circa i fringe benefit relative al triennio 2025-2027 come stabilite dalla relativa Legge di Bilancio 2025.
Ecco le novità introdotte nel 2025 dalla normativa:
La soglia di esenzione dei fringe benefit viene confermata a 1000 euro per tutti i dipendenti ed a 2000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Per "figli fiscalmente a carico" si intendono i figli minori di 30 anni che, nel periodo d'imposta dell'anno in corso, hanno un reddito totale, al lordo delle detrazioni fiscali, che non supera i 2.840,51€. Tuttavia, per i figli di età inferiore ai 24 anni, questa soglia sale a 4.000€, come specificato nel comma 2 dell'articolo 12 del TUIR. È importante notare che i figli devono essere fiscalmente a carico per l'intero anno solare. Nel caso in cui, durante l'anno, il reddito del figlio superasse la soglia massima prevista (rendendo quindi il figlio non più a carico), il dipendente subirebbe trattenute fiscali e contributive sullo stipendio di dicembre, applicate sull'intero fringe benefit erogato nell'anno in corso.
Tra i beneficiari di questa agevolazione rientrano i soggetti titolari di redditi da lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente (come collaboratori coordinati e continuativi, lavoratori a progetto, amministratori, stagisti, eccetera).
Al superamento del limite di euro 1.000 o 2.000 stabilito, il valore è soggetto a tassazione per l’intero importo; nell’ambito di questi importi, possono essere riconosciuti, anche i rimborsi delle utenze domestiche di acqua, luce e gas naturale (no GPL), delle spese sostenute per l’affitto e degli interessi sul mutuo della prima casa.
Per i premi e le somme erogati negli anni 2025, 2026 e 2027, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, di cui all’articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è ridotta al 5%.
FRINGE BENEFIT E AUTO AZIENDALI
Tra i benefit più apprezzati dai dipendenti c’è senza ombra di dubbio la concessione di un’auto aziendale ad uso promiscuo. Il dipendente che la riceve come premio, quindi, potrà utilizzarla sia per scopi personali sia per recarsi sul luogo di lavoro e per partecipare a eventi aziendali, convegni e appuntamenti con clienti. Nell’articolo 51, comma 4, lettera A il TUIR disciplina i criteri per calcolare la misura in cui l’utilizzo promiscuo dell’auto concorre a formare il reddito da dipendente.
Ecco alcune informazioni che possono tornare utili quando il fringe benefit è corrisposto sotto forma di auto aziendale. In questo caso, il benefit ha natura forfettaria e non è quindi collegato né agli eventuali costi a carico del dipendente (carburante, manutenzione, pneumatici, bollo, assicurazione RCA) né ai chilometri percorsi (per fare un esempio pratico, la tassazione non cambia tra chi percorre 20000 km in un anno e chi ne percorre 40000). Inoltre, nonostante il fringe benefit auto aziendale sia stabilito su base annuale, deve essere assoggettato mese per mese a tassazione ed esposto nel cedolino
Ma come si fa il calcolo del fringe benefit sulle auto aziendali? È necessario considerare due aspetti principali:
il chilometraggio standard definito dalla normativa, che equivale a 15000 km
il costo chilometrico di esercizio della vettura, che viene indicato nelle tabelle che l’ACI pubblica annualmente sulla Gazzetta Ufficiale
Il rimborso chilometrico fa parte dei costi di impresa ed è quindi deducibile. Ti invitiamo a consultare il portale ACI per conoscere limiti ed eccezioni.
CADHOC IL FRINGE BENEFIT IDEALE PER AZIENDA E DIPENDENTI
Cos’è Cadhoc? È il buono acquisto di Up Day, soluzione perfetta per gratificare il personale, fidelizzare i clienti, premiare la forza vendita.
Un dono sempre indovinato, sia per chi lo fa che per chi lo riceve.
Chi riceve questa tipologia di voucher ha il vantaggio di decidere in che modo spenderlo. Può essere un voucher per fare shopping nelle migliori catene di negozi, oppure può essere convertito in buoni da spendere negli shop e-commerce più cliccati della rete.
CADHOC NEL WELFARE AZIENDALE
Cadhoc, inoltre, è la soluzione per i rinnovi contrattuali nazionali di categoria che prevedono flexible benefit obbligatori al loro interno. Il buono spesa per acquistare benzina, libri scolastici, alimentari ecc. che si adatta alle diverse esigenze dei lavoratori. Un esempio? Il contratto Metalmeccanico PMI CONFAPI; Tessile, Abbigliamento e Moda; Porti; Studi e Attività Professionali; Soccorso Stradale.
Il buono acquisto universale per incentivare e motivare il personale, fidelizzare i clienti e premiare la forza vendita è l’ideale in ogni occasione dell’anno ed è la soluzione per gratificare in modo personale qualunque collaboratore, dal più tradizionalista al nativo digitale grazie alla sua spendibilità on e offline.
Tanti vantaggi fiscali alle aziende, perché Cadhoc è l’incentivo che soddisfa davvero i desideri di tutti.
Scegliendo i buoni acquisto Cadhoc ottieni vantaggi per i dipendenti completamente deducibile, esente da IVA e privo di oneri fiscali e previdenziali. Con Cadhoc, è possibile acquistare ciò di cui si ha bisogno, dove, quando e come si preferisce.
Ora con i buoni acquisto Cadhoc, puoi coprire diverse esigenze: dalla spesa al carburante, dall'elettronica agli articoli per la casa, dalla bellezza agli accessori per animali, e molto altro ancora. Puoi inoltre personalizzare i buoni scegliendo il loro valore, il formato (digitale o cartaceo) e la modalità di consegna (tramite app o blocchetto cartaceo) mentre Up Day si occupa del resto.
Per avere maggiori info su Cadhoc:
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Gennaio 13, 2025
Welfare Aziendale
A chi è rivolto il welfare aziendale?
I lavoratori dipendenti del settore privato sono coloro che hanno diritto al welfare aziendale: misure volte a migliorare la qualità della loro vita. Scopri in questo articolo maggiori informazioni a riguardo.
Lo strumento del welfare aziendale è impiegato da un numero sempre crescente di aziende per offrire un sostegno al reddito dei lavoratori e soddisfarne i bisogni, così da migliorare la conciliazione vita-lavoro. Per loro natura, le misure di welfare aziendale non possono essere erogate ad personam ma devono essere rivolte a una pluralità di soggetti.
Il piano di welfare lo troviamo in tutte le aziende?
Sono sempre di più le aziende italiane, anche tra le PMI, che riconoscono il valore del welfare aziendale e decidono di offrire ai propri dipendenti benefit e incentivi di vario tipo. Anche grazie all’introduzione del Jobs Act, che si è posto come obiettivo l’introduzione di sistemi di welfare aziendale sempre più dinamici e innovativi.
Spesso, sono gli stessi contratti collettivi di categoria che impongono alle imprese di mettere a disposizione dei propri dipendenti misure di welfare aziendale di vario tipo. Altre volte, sono le aziende che decidono di offrirle autonomamente ai lavoratori.
Tuttavia, ciò non significa che tutte queste imprese abbiano attuato un piano di welfare aziendale. Sono molti i casi in cui le misure vengono erogate senza essere comprese in uno schema ben definito.
Obbligatorietà nei contratti collettivi
La sempre crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale e dei suoi numerosi vantaggi per aziende e dipendenti ha fatto sì che sempre più categorie ne riconoscessero l’utilità.
Così, negli ultimi anni, è accaduto sempre più spesso che, in occasione del rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di diversi settori siano state incluse al loro interno una serie di iniziative per migliorare la qualità della vita dei dipendenti.
I primi a inserire l’obbligatorietà delle misure di welfare nel loro contratto collettivo sono stati i metalmeccanici, seguiti poi da altri settori, tra cui le telecomunicazioni, gli orafi e argentieri, gli operatori di telefonia, il turismo e la ristorazione.
Secondo quanto stabilito da questi contratti, il contributo non può essere monetizzato, cioè non può essere inserito nella busta paga del dipendente o convertito in denaro, ma deve essere finalizzato all’erogazione di beni e servizi che rientrino tra le misure di welfare aziendale.
Quali sono i vantaggi
Perché le misure di welfare offerte ai dipendenti risultino davvero efficaci e riscuotano il consenso delle persone a cui sono rivolte, è bene che vengano inserite all’interno di un piano di welfare aziendale.
Nel piano di welfare, infatti, sono indicati:
le categorie di dipendenti che hanno diritto a beneficiare dei beni e dei servizi offerti;
quali beni e servizi siano i più adatti ad essere erogati ai lavoratori;
le modalità in cui deve avvenire l’erogazione delle misure di welfare;
i criteri di valutazione per capire se il piano stia o meno funzionando.
Il piano di welfare aziendale, perciò, offre alle imprese diversi benefici:
consente di individuare le misure di welfare già presenti in azienda e di valorizzarle;
permette di strutturare l’offerta di beni e servizi di welfare in modo da renderla davvero conveniente sia per l’impresa, sia per i lavoratori;
consente di monitorare la soddisfazione dei dipendenti nei confronti dei servizi di welfare erogati.
I vantaggi per i lavoratori
Grazie al welfare aziendale i lavoratori hanno accesso a una serie di agevolazioni sia lavorative che personali, come ad esempio l’orario di lavoro flessibile o la possibilità di ottenere beni e servizi per sé e per i familiari, che favoriscono la conciliazione vita-lavoro, riducono il livello di stress e aumentano il benessere di chi le riceve.
I servizi di welfare, inoltre, possono essere totalmente o parzialmente detassati, sia dal punto di vista contributivo, sia dal punto di vista retributivo, cosa che aumenta il potere d’acquisto del beneficiario.
Le soluzioni proposte da Up Day
Le aziende che trovano difficile gestire il proprio piano di welfare possono affidarsi ad una società come Day, che ha sviluppato la piattaforma Day welfare.
Un servizio strutturato e completo, che permette di comporre le tipologie di benefit in base alle esigenze aziendali, così da garantire la soddisfazione dei dipendenti, stilare il regolamento che ne regola la fruizione e offrire un supporto continuo agli HR manager.

Gennaio 10, 2025
Welfare Aziendale
La tassazione dei fringe benefits
Sono sempre di più le aziende che sviluppano piani di welfare aziendale che comprendono l’erogazione di fringe benefits. Scopri se, quando e come vengono tassati.
Considerati come benefici in natura, i fringe benefits sono beni e servizi alternativi alla retribuzione in denaro che finiscono comunque in busta paga. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla loro tassazione.
I fringe benefits sono tassati?
Casi di esclusione dalla tassazione
Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?
Fringe benefits in busta paga
I fringe benefits sono tassati?
Secondo il principio di omnicomprensività stabilito dal comma 1 dell’articolo 51 del TUIR qualsiasi bene, servizio o somma di denaro che il datore di lavoro abbia attribuito al dipendente deve necessariamente risultare in busta paga.
Quindi tutti i fringe benefits, che sono delle agevolazioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, devono essere indicati in busta paga.
Ciò vuol dire che verranno tassati? La risposta a questa domanda è quasi sempre sì.
La maggior parte dei fringe benefits è considerata parte del reddito accumulato dal lavoratore nel corso dell’anno d’imposta e quindi viene assoggettata a tassazione INPS e IRPEF.
Diciamo quasi sempre perché ci sono dei casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione, e altri in cui le tasse sono dovute solo per una parte del valore del bene o servizio accessorio erogato dall’azienda al proprio collaboratore.
Per calcolare correttamente le imposte dovute sui fringe benefit, bisogna anche tenere conto della differenza tra la base contributiva e la base retributiva. Per quanto riguarda il versamento dei contributi, infatti, esistono delle soglie oltre le quali un bene o servizio non è più tassabile. Per il versamento dell’imposta sui redditi, invece, può diventare imponibile l’intero valore del bene, a meno che esso non sia compreso tra i casi di esclusione totale o parziale.
Solitamente, è il datore di lavoro che inserisce i fringe benefit in busta paga e si occupa di trattenere alla fonte la quota dovuta per il pagamento delle imposte. Tuttavia, anche per il dipendente è importante conoscere sempre il valore del fringe benefit che viene erogato e i casi in cui esso può essere escluso totalmente o parzialmente dalla tassazione.
Casi di esclusione dalla tassazione
Anche se la maggior parte dei fringe benefits viene tassata, ci sono diversi casi in cui essi sono esenti in maniera totale o parziale dall’imposizione fiscale.
Come per il principio di omnicomprensività, anche in questo caso a venirci in aiuto per farci capire quali sono i casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione è l’articolo 51 del TUIR, che elenca tutti i casi in cui essi sono esenti dal rientrare nella base imponibile per il pagamento delle imposte.
Vediamo quali sono i principali casi di esclusione dei fringe benefits dal pagamento delle tasse, tenendo anche conto dell’aggiornamento del TUIR alla Legge di Bilancio 2025:
i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza agli obblighi di legge, e i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti che hanno esclusiva finalità assistenziale fino a un importo massimo di €3.615,20;
la somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro all’interno di mense aziendali gestite direttamente dall’azienda o da soggetti terzi;
la prestazione di servizi di trasporto collettivo offerta alla collettività o a una sola categoria di dipendenti, anche se affidata ad aziende di trasporto pubblico; le somme erogate o rimborsate per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico alla collettività dei dipendenti o a una parte di essi o ai loro familiari;
tutte le somme, i servizi e le prestazioni erogati dalle imprese alla generalità o a una parte dei dipendenti per far sì che i loro familiari possano avere accesso ai servizi di istruzione (anche scuole dell’infanzia), ai servizi di mensa ad essi collegati, alle ludoteche, ai centri estivi e doposcuola;
le borse di studio erogate ai familiari dei dipendenti;
le assicurazioni stipulate dall’azienda contro il rischio di infortuni a carico del lavoratore;
il valore delle azioni in stock option a condizione che rimangano in possesso del dipendente per almeno 3 anni.
Questi sono i principali casi di esclusione totale dei fringe benefits dalla tassazione.
Ci sono, poi, altre agevolazioni che concorrono solo in parte a formare il reddito imponibile. Tra le più importanti ci sono:
i buoni pasto;
l’auto aziendale ad uso promiscuo (se l’auto è ad esclusivo uso aziendale è invece totalmente esente dalla tassazione);
i prestiti a tasso agevolato erogati dal datore di lavoro ai collaboratori;
i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato;
i rimborsi spese.
Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?
La normativa di riferimento per la tassazione dei fringe benefits è il TUIR (il Testo Unico sull’Imposta dei Redditi), emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n° 917 del 22 dicembre 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre dello stesso anno), di cui ogni anno viene approvata una versione aggiornata all’attuale legge di bilancio.
L’articolo 51 del TUIR comma 3, in particolare, stabilisce anche quali siano i fringe benefits che rientrano nel reddito imponibile e i casi di deducibilità totale o parziale.
Esonero dei fringe benefit dalla tassazione
Secondo quanto stabilito dalla legge: tutti i beni o servizi erogati dal datore di lavoro ai dipendenti sotto forma di contributo liberale, compresi voucher, buoni sconto e omaggi aziendali (sono esclusi i buoni pasto) nel medesimo anno di imposta, sono esonerati dal concorrere alla formazione del reddito da lavoro dipendente per un importo complessivo di 258,23 euro.
Per il triennio 2025-2027 questo limite, grazie alla La Legge di Bilancio 2025, è stato aumentato a 1.000 euro per tutti i lavoratori, che si alza a 2.000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Anche i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione, ma solo nel caso in cui non siano di importo superiore ai 4,00 euro per quanto riguarda i buoni cartacei, e agli 8,00 euro per i buoni elettronici. In caso vengano erogati al lavoratore buoni di importi maggiori, la parte eccedente i limiti fissati dalla legge concorrerà a formare il reddito imponibile.
Valore normale e valore convenzionale
Al fine di inserire correttamente in busta paga gli importi che formano il reddito da lavoro dipendente, è importante conoscere con certezza il valore del bene.
Nella maggior parte dei casi, si considera come base imponibile il valore normale del bene (art. 9 del TUIR), che consiste nel prezzo praticato in media per la sua vendita.
Ci sono poi alcune eccezioni, come le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili offerti al dipendente e i prestiti in cui la base imponibile è data da un valore convenzionale.
Fringe benefits in busta paga
La quota di fringe benefits che finisce in busta paga e, quindi, viene tassata, nella maggioranza dei casi non costituisce l’intero valore del benefit.
Tra i casi più comuni di tassazione in busta paga dei fringe benefits ci sono:
l’auto aziendale;
i prestiti concessi ai dipendenti;
le abitazioni concesse in affitto ai collaboratori.
Nel primo caso, quello dell’auto aziendale, la somma che andrà inserita in busta paga viene stabilita servendosi di un costo chilometrico convenzionale, che è contenuto in apposite tabelle aggiornate ogni anno dall’ACI.
Per quanto riguarda i prestiti concessi ai dipendenti, la somma da inserire in busta paga è pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento (TUR) e l’importo degli interessi calcolato in base al tasso agevolato applicato dall’azienda.
Se ad un dipendente viene concessa un’abitazione in affitto, la somma che verrà indicata in busta paga è pari alla differenza tra rendita catastale + spese di gestione del fabbricato e il canone di affitto versato dal lavoratore.
Esempio di tassazione dei fringe benefits in busta paga
Vediamo un esempio concreto di come i fringe benefits erogati al lavoratore dipendente vengono contabilizzati in busta paga.
Uno dei benefit più diffusi in assoluto è costituito dai buoni pasto (che ha un “contatore” a parte e non rientra nel conteggio del limite dei fringe benefit.).
Mettiamo il caso che un dipendente riceva dal suo datore di lavoro dei buoni pasto elettronici del valore di 11,50 euro. La parte che eccede gli 8 euro giornalieri sarà assoggettata al versamento dei contributi e delle tasse. Ipotizziamo che i buoni pasto gli siano stati riconosciuti per 20 giorni nel mese di marzo.
Questa sarà la sua ipotetica busta paga:
retribuzione lorda euro 1.850,00;
quota assoggettabile a tassazione 3,5 euro x 20 giorni = euro 70,00.
Ai fini del calcolo dei contributi INPS la retribuzione da prendere in considerazione sarà pari alla retribuzione lorda sommata alla quota dei buoni pasto assoggettabile a tassazione, quindi:
1.850,00 + 70,00 = 1.920,00.
Applicando a questa base imponibile l’aliquota INPS del 9,19 % si ottiene un importo di 176,44 euro, che andrà inserito in busta paga come quota contributiva da versare.
Questo per quanto riguarda la contribuzione.
Adesso bisogna calcolare l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito da lavoro dipendente.
La base imponibile per il calcolo dell’IRPEF è data dalla somma del reddito lordo alla quota di buoni pasto assoggettabile a tassazione, a cui si sottrae l’importo dovuto per i contributi INPS, quindi:
(1850 + 70) – 176,44= 1743,56
La base imponibile per l’IRPEF è quindi di euro 1743,56. Su di essa viene calcolato l’importo dell’IRPEF lorda, a cui vanno poi sottratte le detrazioni per lavoro dipendente e gli eventuali carichi di famiglia per ottenere l’IRPEF netta.
Supponendo che l’IRPEF netta (IRPEF lorda – detrazioni) sia pari ad euro 233,50, la busta paga del dipendente comprensiva di fringe benefit sarà così composta.
Retribuzione lorda
euro 1.850,00
Buoni pasto non esenti
euro 70,00
Contributi INPS
Euro 176,44
IRPEF netta
233,50
Netto a pagare
1510,06
Tassazione fringe benefit: le novità del 2025
Nel 2025 la novità più importante è stata la conferma dell’aumento della soglia di esenzione dalla tassazione per i fringe benefit, limitatamente al triennio 2025-2027.
Come già accaduto nel 2024, la soglia passa 1.000 euro (rispetto ai 258,23) per tutti i lavoratori, e sale fino a 2.000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico. In aggiunta a beni e servizi, il datore di lavoro potrà rimborsare anche le spese per le utenze domestiche - luce, acqua e gas naturale (no GPL) – e il canone per l’affitto prima casa e gli interessi del mutuo sulla prima casa.

Gennaio 08, 2025
Welfare Aziendale
Premi produttività e welfare aziendale
Quando un’azienda, durante l’anno, ottiene performance migliori dell’anno precedente - aumentando i guadagni o diventando più efficiente ad esempio - può riconoscere ai dipendenti una somma in denaro a titolo di gratifica. Scopri cosa sono i premi produttività, a chi spettano e come vengono tassati.
I premi di produttività sono compensi che il datore di lavoro può erogare al dipendente, in aggiunta allo stipendio, come riconoscimento per i risultati ottenuti. Ecco tutto quello che c’è da sapere sui premi produttività e sulla tassazione agevolata.
Cos’è il premio produttività
Premio di produttività in busta paga
Premi produttività come strumento per migliorare il clima aziendale
Vantaggi e benefici del premio di produttività
Premio produttività: a chi spetta
Differenza tra premio produttività e bonus dipendenti
Tassazione del premio produttività
Detassazione premi: come funziona
Premio di produttività, malattia e maternità
Premio di produttività a fondo pensione
Cos’è il premio produttività
La gestione delle aziende contemporanee è sempre più orientata verso il Management by Objectives o Management by Results (MBO – MBR), una tecnica che basa l’attività dell’azienda sul raggiungimento di obiettivi ben precisi e facilmente misurabili.
Il premio di produttività è un riconoscimento economico aggiuntivo rispetto alla retribuzione di base, che il datore di lavoro corrisponde ai propri dipendenti per aver contribuito al conseguimento di determinati obiettivi, stabiliti in sede di contrattazione.
I premi di risultato sono importi legati a un miglioramento delle performance dell’azienda, riscontrabile negli incrementi misurabili di produttiva, redditività, qualità efficienza e innovazione. Possono quindi venire corrisposti ai lavoratori una volta all’anno, in sede di chiusura del bilancio aziendale, oppure dalle due alle quattro volte l’anno, se sono legati alla presentazione dei bilanci intermedi.
Premio di produttività in busta paga
Il dipendente che ha diritto al premio di produttività può scegliere tra due diverse modalità di fruizione dello stesso.
Il lavoratore, infatti, può decidere di ricevere un premio una tantum in busta paga, in denaro, soggetto a tassazione agevolata per importi fino a 3.000 euro (se il reddito del lavoratore non supera gli 80.000 euro), oppure può decidere di convertire la somma che gli spetta in voucher da utilizzare per ottenere servizi di welfare aziendale.
Con i voucher erogati in sostituzione del premio di produttività il dipendente può accedere a un paniere di beni e servizi predisposto dall’azienda, che può comprendere:
badanti;
buoni spesa;
assistenza domiciliare per familiari anziani e disabili;
baby-sitter;
asilo nido;
borse di studio per i familiari;
servizi di trasporto;
rette per centri estivi e invernali;
acquisto di libri scolastici;
servizi di mensa;
servizi di assistenza sanitaria integrativa;
polizze di previdenza complementare;
investimenti in azioni.
Il datore di lavoro può anche decidere di erogare il premio produttività sotto forma di una partecipazione agli utili dell’azienda.
Quali voci presenti in busta paga si riferiscono al premio di produzione? Solitamente il premio di produttività viene indicato in una voce distinta dallo stipendio di base o da altri eventuali indennità o bonus. A seconda delle convenzioni adottate dal datore di lavoro, tale voce potrebbe essere “Incentivo produzione” o “Premio produzione”. In alcuni casi, tuttavia, il premio di produzione potrebbe venir suddiviso in ulteriori voci in modo da indicare la parte relativa ai risultati aziendali e quella che concerne invece la performance individuale.
I premi di produttività come strumento per migliorare il clima aziendale
Il clima aziendale rappresenta la percezione delle persone rispetto al proprio ambiente di lavoro. Un’azienda con un clima aziendale negativo è soggetta a fenomeni quali scarsa motivazione del personale, assenteismo, cali di produttività, performance deludenti. Per questo è importante che il clima aziendale sia sempre positivo.
Le cause di un clima aziendale negativo possono essere ricercate in:
presenza di processi inutili, pesanti e procedure lunghe e inefficaci;
comunicazione poco efficace;
incapacità di stabilire le priorità;
assenza di riconoscimenti per il lavoro svolto dai dipendenti.
Un’azienda che, analizzando il proprio clima aziendale, si accorga che quest’ultimo viene percepito come negativo, ha a disposizione diversi strumenti per migliorare la situazione. Ad esempio, offrire ai lavoratori la possibilità di lavorare in smart working, per favorire la conciliazione vita lavoro o rendere più snella ed efficiente la comunicazione interna.
Anche offrire premi di produzione legati al raggiungimento di determinati obiettivi è un buon modo per migliorare il clima aziendale e dimostrare ai collaboratori che il loro lavoro è apprezzato.
Vantaggi e benefici del premio produttività
I premi di produttività sono considerati strumenti fondamentali da tutte le imprese che puntano sul welfare aziendale come mezzo per raggiungere livelli di efficienza e innovazione più elevati.
L’erogazione del premio di produttività può risultare molto vantaggiosa sia per il datore di lavoro, sia per il dipendente: il primo si ritroverà ad avere collaboratori ancor più motivati nel raggiungere gli obiettivi prefissati, e potrà assistere a un incremento della produttività, del prestigio del proprio marchio e degli utili.
Il secondo non solo vedrà premiati i suoi sforzi e si sentirà quindi gratificato e motivato a fare sempre meglio, ma sarà anche più felice di ricevere il bonus sapendo che è soggetto a tassazione ridotta.
Per non parlare poi del fatto che, nel caso decidesse di convertirlo in beni e servizi, questi risulterebbero totalmente esenti dalle tasse fino a un importo massimo di 3.000 euro.
Il datore di lavoro che desidera gratificare i propri dipendenti e incentivarli nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, ha a disposizione la cosiddetta lettera di premio in busta paga. Si tratta di un documento che comunica la ricezione del premio e che contiene le seguenti informazioni;
La data in cui il lavoratore riceverà il premio
La motivazione e l’importo del premio erogato;
Il nome e il numero di matricola del dipendente;
Dettagli su eventuali tasse e contributi;
Limitazioni e condizioni eventuali del premio;
La firma del rappresentante del datore di lavoro.
Premio produttività: a chi spetta?
Il premio di produttività spetta a tutti i lavoratori che prestano lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato in aziende del settore privato, purché tale agevolazione sia prevista dal CCNL, dal contratto di 2° livello aziendale e territoriale o dagli accordi sindacali.
Per poter essere considerato a tutti gli effetti un premio di risultato e godere, perciò, delle agevolazioni fiscali previste dalla legge, il premio di risultato deve:
essere legato a incrementi della produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione;
essere connesso a obiettivi misurabili secondo i criteri di misurazione fissati in fase di sottoscrizione del contratto;
venire erogato alla totalità dei dipendenti, o a un determinato settore produttivo o categoria, e non a un singolo lavoratore.
L’ammontare del premio di produttività non è mai fisso, ma varia in base all’incremento dei parametri a cui l’azienda ha deciso di legarli.
Il datore di lavoro, inoltre, non è obbligato a erogare la stessa somma a tutti i dipendenti, ma può decidere di corrispondere premi di importi diversi a seconda che i lavoratori appartengano o meno a un determinato reparto produttivo, basandosi sulla retribuzione annua lorda o, ancora, sui giorni di presenza e sulle ore lavorate.
Nel caso in cui le performance dei parametri a cui è legata l’assegnazione del premio di produttività risultino inferiori alle soglie prefissate, secondo la normativa vigente, l’azienda non ha la facoltà di erogare il premio produttività soggetto a tassazione agevolata.
Differenza tra premi produttività e i bonus dipendenti
Non è una novità questa abitudine di molte aziende di corrispondere ai lavoratori una gratifica in aggiunta al compenso previsto dal contratto quando il bilancio è in attivo o quando un lavoratore è stato particolarmente efficiente nel suo lavoro.
Ogni datore di lavoro, infatti, ha diritto di offrire ai propri dipendenti gli incentivi che preferisce. Tuttavia, non tutti i bonus erogati in busta paga hanno le stesse caratteristiche.
Mentre i “bonus dipendenti” possono essere erogati in qualsiasi momento, a uno o più dipendenti, senza vincoli particolari, il premio di produttività, per sua natura, deve essere erogato secondo regole e vincoli precisi.
Le differenze maggiori tra l’uno e l’altro tipo di bonus, però, risiedono nella contrattazione e nella tassazione.
I bonus per i dipendenti non devono per forza essere previsti dai contratti collettivi nazionali, possono essere inseriti nel contratto di lavoro individuale e vengono assoggettati all’aliquota IRPEF prevista per i redditi da lavoro dipendente.
Il premio di produttività, invece, deve essere necessariamente previsto nella contrattazione collettiva e negli accordi sindacali di categoria ed è soggetto a una tassazione agevolata.
Tassazione del premio di produttività
Adesso che abbiamo visto cos’è il premio di produttività e chi ha diritto a riceverlo, parliamo delle normative che ne regolano la tassazione.
A partire dal 2016, la tassazione agevolata dei premi di risultato è diventata strutturale. Ciò significa che i premi di risultato erogati secondo le modalità previste dalla legge non sono soggetti alle aliquote progressive IRPEF bensì ad un’aliquota agevolata in sostituzione di tutte le altre.
La normativa di riferimento per quanto riguarda il premio di produttività fino a poco tempo fa era rappresentata dalla Legge di Stabilità del 2016, e dalle Leggi di Bilancio 2017 e 2018 ed era sintetizzata nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 5 del 2018. Tale normativa specificava non solo i criteri secondo cui le aziende possono erogare premi di risultato detassabili, ma anche quali tipologie di lavoratori hanno accesso al regime di detassazione del premio di risultato.
La Legge di Bilancio 2025 (LEGGE 30 dicembre 2024, n. 207 ) ha confermato, all’articolo 1 comma 385, che, per il triennio 2025-2027, l’imposta sostitutiva dell’IRPEF e le addizionali regionali e comunali subiscano una riduzione dal 10% al 5% sulle somme erogate sotto forma di premio di produttività aziendale.
Secondo la legge, hanno diritto a tale agevolazione i lavoratori del solo settore privato che nell’anno d’imposta abbiano conseguito redditi da lavoro dipendente per importi non superiori a 80.000 euro.
L’importo massimo del premio produttività assoggettabile alla tassazione agevolata, invece, è di 3.000 euro. Solo nel caso in cui il premio di produzione venga erogato ai dipendenti di aziende che coinvolgono i collaboratori nell’organizzazione del lavoro, tale soglia è innalzata fino a 4.000 euro (solo per i rapporti di lavoro già in essere prima del 24 aprile 2017).
Nel caso in cui un lavoratore percepisca premi di risultato da più datori di lavoro, il limite della somma soggetta a tassazione agevolata rimane comunque di 3.000.
Facciamo un esempio pratico di tassazione del premio di produttività ai fini IRPEF, prevedendo che il lavoratore abbia percepito, nell’anno di imposta, un premio di risultato lordo del valore di 1.800 euro.
Grazie alla tassazione agevolata al 5%, l’importo netto che viene corrisposto in busta paga è pari a 1.710 euro.
Senza tassazione agevolata, tale importo sarebbe soggetto a un’aliquota variabile tra il 23% e il 43%, a seconda del reddito imponibile.
Secondo le disposizioni di legge, come abbiamo visto, il lavoratore ha la possibilità di convertire – in tutto o in parte – l’importo del premio di produzione in servizi di welfare aziendale. In questo caso, il valore del bene o servizio erogato non concorre alla formazione del reddito imponibile, ed è totalmente esente da tassazione. Questa opzione permette al datore di lavoro di ottenere un risparmio per quanto riguarda l’abbattimento degli oneri contributivi, fissando in questo modo una notevole riduzione del cuneo fiscale.
Facciamo un esempio pratico. Un lavoratore percepisce un premio di produttività di 1.200 euro e decide di usufruire di un’agevolazione per il trasporto ferroviario. Tale agevolazione viene quantificata in maniera forfettaria nella cifra di 200 euro.
La base imponibile per il calcolo dell’imposta sostitutiva al 5% non sarà più di 1.200 euro: da essa verrà escluso il valore del servizio di trasporto ferroviario, che è di 200 euro.
L’imposta sostitutiva verrà perciò applicata solo sulla somma di 1.000 euro. Somma che il lavoratore può decidere di convertire in ulteriori benefit.
L’Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito che i servizi di welfare aziendale vengono considerati percepiti dal dipendente, e quindi esclusi dal reddito imponibile, nel momento in cui il lavoratore compie la scelta di convertire in benefit il suo premio di risultato, anche se tali benefit vengono erogati, o goduti, in un momento successivo.
Detassazione premi: come funziona?
L’erogazione dei premi di risultato avviene su base annuale, semestrale o trimestrale, eseguendo un confronto con le prestazioni dell’anno precedente.
Per questo, per poter usufruire delle agevolazioni fiscali previste per le somme erogate per premi di risultato è importante che ogni anno le aziende depositino presso il Ministero del Lavoro il contratto di 2° livello e i contratti in scadenza e forniscano queste informazioni:
il numero dei lavoratori che ricevono il premio di produttività;
l’indicatore dei parametri prefissati;
il contratto territoriale o aziendale.
Con il premio non tassato in busta paga il lavoratore può beneficiare dell’intero importo senza dover pagare le tasse previste. Questo potrebbe avere un impatto sull’anno seguente perché andrebbe a incidere sul reddito complessivo dell’impiegato e quindi sulla classe di reddito fiscale di appartenenza.
Ma quali categorie di lavoratori possono usufruire del premio di produzione detassato?
I dipendenti dei lavoratori autonomi, come i titolari di studi privati o ditte;
I dipendenti delle aziende private:
I dipendenti delle pubbliche amministrazioni che abbiano un contratto di somministrazione di lavoro e quindi dipendenti delle agenzie di lavoro.
Rientrano invece fra i soggetti esclusi dalla detassazione dei premi di risultato:
Coloro che percepiscono redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative e a progetto;
I dipendenti che beneficiano dell’auto aziendale, di un alloggio aziendale o che ricevono prestiti concessi dal datore di lavoro;
I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che hanno un contratto di natura privatistica;
I dipendenti che lavorano all’estero per un periodo superiore a 183 giorni all’anno.
È bene ricordare che quando il dipendente non fornisce tutte le informazioni utili per l’applicazione del regime fiscale agevolato nei tempi e limiti previsti dalla norma agevolativa, il datore di lavoro sarà indotto ad applicare l’imposta sostitutiva anche oltre il limite di premio annuale. In questo caso, dovrà essere cura del dipendente far concorrere al suo reddito complessivo, al momento della dichiarazione dei redditi, i premi di risultato impropriamente assoggettati a imposta sostitutiva. Lo stesso vale nel caso in cui il premio di produzione sia stato concesso sotto forma di benefit detassato.
Premio di produttività, malattia e maternità
Nel computo delle ore lavorate al fine di determinare il premio di produzione da destinare ai dipendenti, secondo la Legge di Bilancio 2023 andranno considerati anche:
i permessi della Legge 104 anche per badare a familiari o figli disabili o con patologie gravi;
l’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità e paternità;
assenze per gravidanza
il 50% dei giorni di congedo parentale retribuito richiesto dai neogenitori;
gli infortuni sul lavoro;
malattia professionale;
donazione di sangue e midollo
assenza per ferie
permessi e riposi compensativi
Con la sentenza 13 aprile 2022 n.212, infatti, la Corte di Appello di Torino ha dichiarato che se eventuali giorni di assenza dal lavoro causati da ragioni di assistenza o cura per disabilità, proprie o altrui, dovessero incidere sulla determinazione del premio di produzione, come nel caso di assenze “normali”, in questo caso si tratterebbe di discriminazione diretta e tale comportamento da parte di un datore di lavoro avrebbe natura discriminatoria.
E sempre in tema di possibili discriminazioni, al fine di evitare una penalizzazione delle assenze per maternità e allattamento da parte delle lavoratrici e in virtù della parità di genere nel sistema premiale, la Legge di Bilancio 2023 stabilisce che il periodo di congedo di maternità obbligatorio va computato nella determinazione della corresponsione del premio di produttività.
Premio di produttività a fondo pensione
Con la Legge di Bilancio 2017 e 2023 sono stati introdotti altri vantaggi fiscali a favore dei dipendenti che scelgono di versare il premio di produttività a un fondo di pensione complementare o a un fondo sanitario.
Nel caso di premio a previdenza complementare, nello specifico, gli importi dei premi nel limite di 3.000 euro non sono soggetti a imposta sostitutiva del 5% e non concorrono a comporre reddito da lavoro dipendente anche qualora sforino il plafond di deducibilità (3.615 euro per i fondi sanitari e 5.164,57 euro per i fondi pensione).
La legge stabilisce che le somme relative a questa tipologia di contribuzione non devono essere tassate nemmeno in fase di prestazione, quindi l’esenzione è totale. Il lavoratore che beneficia di questi vantaggi non deve sostenere alcun costo aggiuntivo.

Dicembre 20, 2024
Welfare Aziendale
Welfare aziendale: che cos’è e come funziona
Il termine welfare aziendale si usa per indicare tutte quelle misure messe in campo dalle aziende per garantire il benessere del lavoratore e favorire la conciliazione vita-lavoro.
Negli ultimi decenni si è assistito ad una contrazione progressiva delle misure di welfare pubblico, in particolare in ambiti come la sanità e le pensioni. Per questo motivo, le recenti normative orientate ad agevolare le iniziative di welfare finalizzate a sostenere e supportare il welfare pubblico hanno trovato terreno fertile nelle aziende private.
I datori di lavoro sono sempre più sensibili e interessati alla qualità della vita dei propri dipendenti, sia nell’ambiente di lavoro, sia nella vita privata. Tanto che sono sempre di più le aziende, anche di medie e piccole dimensioni, che decidono di attuare piani di welfare aziendale per sostenere e premiare i propri collaboratori.
Ma cos’è, di preciso, il welfare aziendale, e come lo si può applicare in concreto? Leggi la nostra guida per trovare le risposte a tutte le tue domande sul welfare aziendale.
Cosa significa welfare aziendale?
Come funziona il welfare aziendale?
Quando viene erogato il welfare aziendale
Come funziona il welfare aziendale in busta paga? Un esempio
Piani di welfare aziendale: gestione e finanziamento
Esempi di welfare aziendale
Welfare aziendale pro e contro
Piani di welfare: quando funzionano davvero?
Come accedere al welfare aziendale
Qual è la differenza tra fringe benefit e welfare aziendale?
Cosa significa welfare aziendale?
Secondo la definizione di AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale) il termine “welfare aziendale” si usa per indicare tutte quelle somme, beni, prestazioni, opere e servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese, la cui finalità di rilevanza sociale li escluda, in tutto o in parte, dalla formazione del reddito da lavoro dipendente.
Rientrano, perciò, nell’ambito del welfare aziendale tutte le attività promosse dal datore di lavoro che contribuiscono a favorire il benessere dei dipendenti. Gran parte di queste attività, in particolare quelle cui è riconosciuta una rilevanza sociale, contemplano importanti vantaggi fiscali e contributivi tanto per l’azienda quanto per i lavoratori coinvolti.
Tuttavia, i vantaggi fiscali e contributivi non sono i soli benefici di cui godono le imprese e i lavoratori che hanno accesso al welfare.
Le misure adottate dalle aziende in questo ambito, offerte sia ai lavoratori, sia ai loro familiari, sono finalizzate a migliorare il work-life balance e la soddisfazione dei dipendenti.
L’impresa, invece, vedrà aumentare il benessere organizzativo, la motivazione e la produttività del personale.
Come funziona il welfare aziendale?
L’applicazione delle misure di welfare aziendale è diversa per ogni azienda, anche se tutte le imprese che scelgono di offrire delle agevolazioni ai propri collaboratori devono seguire lo stesso percorso, che si compone di almeno 5 fasi fondamentali:
analisi dei benefit e delle misure già adottate, dei costi e dei canali di finanziamento del piano (risorse proprie, premio di risultato);
analisi della popolazione aziendale e dei suoi fabbisogni;
progettazione del piano. Scelta delle misure di welfare più idonee a soddisfare le esigenze dei lavoratori, investimento delle somme necessarie alla sua attuazione, pianificazione degli obiettivi e individuazione delle modalità di erogazione dei benefit aziendali;
informazione dei dipendenti riguardo all’attuazione del piano di welfare, dei suoi contenuti e delle modalità scelte dall’azienda per erogare i benefit;
monitoraggio delle performance del piano di welfare.
L’azienda, quindi, dopo aver individuato eventuali misure di welfare già esistenti, analizza i bisogni dei propri dipendenti e pianifica di conseguenza un PWA (Piano di Welfare Aziendale) cercando di conciliare la disponibilità di risorse, eventuali obblighi contrattuali e le aspettative del personale.
Le misure che compongono il PWA possono essere:
di tipo organizzativo, ad esempio operando sull’orario di lavoro;
di tipo compensativo prevedendo ad esempio l’erogazione di prestazioni e servizi per la generalità o categorie omogenee di dipendenti.
È importante che il welfare aziendale non sia inteso in termini retributivi perché non è stato concepito dal legislatore per sostituire la retribuzione.
Quando viene erogato il welfare aziendale
La Circolare INPS numero 73 del 24 giugno 2022 fornisce novità importanti per ciò che riguarda il calendario dei pagamenti dell’indennità. In sintesi, i dipendenti riceveranno un bonus di 200 euro a luglio, mentre le altre categorie dovranno attendere il mese di ottobre per l’erogazione del bonus.
È stato inoltre rinnovato il CCNL Metalmeccanici, siglato da alcune organizzazioni sindacali e associazioni datoriali, che sarà valido per i prossimi 3 anni, fino al 30 giugno 2024. Tra le novità introdotte, i lavoratori del settore avranno diritto a 200 euro all'anno di flexible benefit, che potranno utilizzare per acquistare beni o servizi. Le aziende dovranno mettere a disposizione di tutti i dipendenti questi strumenti di welfare entro giugno di ogni anno, e i lavoratori avranno fino a maggio dell'anno successivo per usufruirne. I dipendenti con contratto a tempo indeterminato e determinato con almeno 3 mesi di anzianità nell'anno potranno beneficiare di queste novità e le aziende potranno offrire una gamma di flexible benefit tra cui scegliere.
Come funziona il welfare aziendale in busta paga? Un esempio
La modifica dell'articolo 51 del Tuir del 2016 ha reso il welfare aziendale uno strumento molto utile per ridurre il cuneo fiscale delle aziende. Il welfare aziendale prevede che l'azienda offra ai propri dipendenti dei benefici esenti da contributi e tasse. Vediamo insieme un esempio pratico.
Se l'azienda vuole erogare un premio di 1000€ al dipendente, dovrà spendere circa 1500€, in quanto il premio verrà tassato e il dipendente riceverà solo circa 700€. Invece, con il welfare aziendale, i 1000€ pagati dall'azienda sono netti per il dipendente e l'azienda risparmierà sul costo del lavoro.
Il welfare aziendale può essere attivato tramite un regolamento interno e può comprendere servizi e beni come voucher per la sanità, assicurazioni, corsi di formazione e attività sportive. In questo modo, l'azienda può migliorare la qualità della vita dei propri dipendenti e allo stesso tempo ottenere vantaggi fiscali.
Piani di welfare aziendale: gestione e finanziamento
Negli ultimi anni si sono proposte sul mercato diverse imprese (i cosiddetti provider) che offrono servizi di supporto alle aziende che intendono implementare i propri piani di welfare aziendale con erogazione di flexible benefit.
Generalmente, quest’attività è gestita mediante piattaforme web: dei veri e propri portali all’interno dei quali i lavoratori trovano tutti i benefit messi a loro disposizione dal datore di lavoro, a cui possono attingere utilizzando i crediti welfare assegnati a ciascuno dall’azienda.
La fonte di tali importi dipende dall’origine del piano di welfare. Sostanzialmente, i crediti welfare sono riconducibili a tre macrocategorie di finanziamento:
Welfare contrattuale. Deriva da obblighi che il datore di lavoro si è assunto aderendo a un contratto collettivo nazionale o di secondo livello (aziendale o territoriale), oppure emanando un regolamento che lo vincola all’erogazione del welfare aziendale anche se l’iniziativa è volontaria e unilaterale;
Welfare derivato dalla trasformazione del Premio di Risultato aziendale (PDR). In questo caso, il welfare aziendale deriva dalla possibilità che il legislatore ha dato ai lavoratori di scegliere se ricevere il proprio premio di risultato sotto forma di un bonus in denaro, direttamente in busta paga, con tassazione agevolata al 5% (solitamente al 10%) per il triennio 2025-2027 o in misure di welfare non soggette ad alcuna tassazione;
Welfare volontario unilaterale, concesso in autonomia dal datore di lavoro in piena liberalità (in questo caso, secondo la legge, la deducibilità fiscale del PWA è limitata al 5 per mille del costo generale annuo del lavoro).
Esempi di welfare aziendale
Il welfare aziendale è un insieme di iniziative che ha come obiettivo principale il benessere e la salute dei lavoratori, non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di assistenza sanitaria, mobilità e conciliazione tra vita privata e vita lavorativa. Il welfare aziendale si basa prevalentemente sull’erogazione di benefit che riguardano sia il lavoratore stesso, sia la sua famiglia:
Previdenza complementare;
Buoni carburante;
Buoni acquisto;
Sanità integrativa (assicurazione sanitaria);
Assistenza e cura dei familiari;
Educazione e istruzione dei figli: rimborso delle spese sostenute per il pagamento delle rette di asilo nido, scuola dell’infanzia, doposcuola e centri estivi, acquisto di libri e testi scolastici;
Accesso ad attività culturali e ricreative: abbonamenti a cinema, teatri, musei e altri luoghi di cultura;
Rimborso delle spese di trasporto pubblico locale: rimborso delle spese sostenute per i viaggi di andata e ritorno dal lavoro;
Finanziamenti e mutui;
Acquisti (limitatamente ai fringe benefit, quindi, a 258,23€ annui per dipendente, innalzati a 2000 € per i dipendenti con figli a carico e a 1000 € per tutti gli altri, limitatamente al triennio 2025-2027);
Corsi di formazione;
Buoni regalo.
Tuttavia, sarebbe errato confondere il welfare aziendale con la sola erogazione dei benefit.
Tra le tante forme che può assumere ci sono anche diverse iniziative che hanno lo scopo di offrire un maggiore sostegno alla vita lavorativa dei dipendenti come:
flessibilità oraria;
smart working;
telelavoro;
banca ore.
Welfare aziendale pro e contro
Il welfare aziendale rientra in una logica di “total reward” che rappresenta un’evoluzione del concetto di retribuzione tradizionalmente inteso.
Ragionando in termini più generali di compensazione piuttosto che di retribuzione, tutte le risorse e i vantaggi che l’azienda mette a disposizione dei propri collaboratori per riconoscerne e valorizzarne l’impegno sono enfatizzate e ottimizzate.
I vantaggi che derivano da questo approccio sono connessi al miglioramento del riconoscimento dell’impegno reciproco e del senso di appartenenza. Esistono quindi vantaggi sia per il dipendente che per l’azienda.
I vantaggi per i lavoratori
Se il welfare aziendale riesce a incidere positivamente sulla qualità della vita e sul benessere dei dipendenti, questi lavoreranno con maggiore soddisfazione e in condizioni di maggiore sicurezza e serenità.
I vantaggi più significativi, oltre a motivazione e compartecipazione, sono:
riduzione dello stress;
miglioramento della conciliazione vita-lavoro, che consente di dedicare più tempo alla vita familiare e alle attività ricreative;
aumento del proprio potere d’acquisto. Misure come l’erogazione di buoni pasto e buoni acquisto e il rimborso delle spese di trasporto offrono il grande vantaggio di ottenere un risparmio sulle spese fisse mensili e, di conseguenza, un innalzamento del potere d’acquisto.
Lo stesso risultato lo si ottiene anche consentendo ai dipendenti la possibilità di convertire il premio di risultato in misure di welfare.
I vantaggi per le aziende
Un personale più attento e motivato rappresenta un valore aggiunto per l’azienda, che ottiene numerosi vantaggi tangibili:
incremento della produttività. È una conseguenza quasi automatica del miglioramento del clima aziendale;
riduzione di fenomeni quali assenteismo e turnover;
miglioramento della capacità di attrarre e mantenere i talenti dovuta alla realizzazione di ambienti di lavoro positivi ed accoglienti.
È bene notare, inoltre, che il fenomeno delle grandi dimissioni, noto come "Great Resignation", è stato accentuato dalla pandemia di COVID-19 e sta mettendo ancora oggi sotto pressione molte aziende. Per contrastarlo, le aziende possono implementare piani di welfare aziendale che offrano benefici e vantaggi ai dipendenti con lo scopo di migliorare il benessere dei lavoratori, aumentare il loro impegno e ridurre di conseguenza il rischio di dimissioni.
Vantaggi fiscali per tutti
Secondo quanto stabilito dalla normativa che regola le imposte sui redditi (TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi) sia aziende che lavoratori ottengono anche numerose agevolazioni fiscali dalle misure di welfare.
A seconda della tipologia di benefit erogati e della loro natura giuridica, infatti, si può ottenere un’esenzione parziale o totale dal pagamento delle tasse su questi beni e servizi.
Welfare aziendale: ci sono svantaggi?
No, se applicate all’interno di un piano ben strutturato, le misure di welfare comportano solo vantaggi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore dipendente.
Piani di welfare: quando funzionano davvero?
L’efficacia di una buona politica di welfare aziendale dipende da quanto questa è coerente con le altre politiche dell’organizzazione per la gestione e lo sviluppo del personale.
Ogni iniziativa finalizzata al miglioramento del benessere del personale non può risultare credibile, apprezzabile e sostenibile se innestata in un contesto culturale e gestionale che non è percepito dai lavoratori come orientato al riconoscimento e alla valorizzazione delle risorse umane e al soddisfacimento delle loro reali esigenze.
Diverse ricerche hanno ormai chiaramente dimostrato che, potendo scegliere, la maggioranza dei lavoratori chiede innanzitutto maggiore flessibilità d’orario per disporre più liberamente del proprio tempo e maggiore capacità di spesa.
Il welfare aziendale, perciò, diventa un valore aggiunto tanto più importante e riconosciuto quanto più queste premesse sono effettivamente soddisfatte. Altrimenti, anche per non aggiungere frustrazione a frustrazione, è meglio attenersi alla contrattazione e riconoscere quanto dovuto in termini retributivi e contrattuali senza creare aspettative che non si è in grado di soddisfare.
Come accedere al welfare aziendale?
Quando un’impresa sceglie di intraprendere un percorso di welfare strutturato deve innanzitutto stabilire gli obiettivi strategici che intende perseguire, quindi deve coinvolgere il personale e le principali parti interessate (tra cui, prioritariamente, le parti sociali) per stabilire quali fabbisogni s’intendono soddisfare.
Dopo aver chiaramente individuato i target e i risultati attesi, compatibilmente con le risorse disponibili, l’organizzazione pianifica e realizza le misure che ritiene più appropriate per i propri scopi.
In questa fase, l’esperienza di un provider di welfare aziendale e il supporto tecnologico che questi può fornire sono molto utili per poter continuare a concentrare le proprie energie sul core business primario e ottenere il massimo dal proprio piano di welfare.
Lo scopo di uno specialista qualificato quale è il provider di welfare aziendale è infatti quello di gestire il piano in tutti i suoi aspetti: dalle incombenze amministrative e gestionali all’erogazione dei benefit ai dipendenti.
Dopo aver definito i servizi e i beni dei quali è possibile usufruire, è importante comprendere come erogarli in modo pratico ed efficace. Una volta attivato il piano di welfare aziendale, i lavoratori possono accedere a un portale personalizzato per fruire dei servizi e dei crediti welfare.
Day Welfare è il portale di Up Day che consente di gestire in modo semplice i piani di welfare aziendale rendendo facile e sicura l’esperienza sia del personale sia delle funzioni che si occupano della gestione e dell’amministrazione del personale.
La piattaforma welfare per la gestione dei flexible benefit può essere utilizzata da qualsiasi dispositivo ed è possibile capire quali sono i benefit a disposizione e utilizzarli in modo semplice, intuitivo e rapido. Inoltre, è presente un servizio di assistenza completo per i dipendenti e per i referenti aziendali. In questo modo, il welfare aziendale può essere offerto in modo efficiente e comodo per i dipendenti, migliorando la soddisfazione dei collaboratori e l'efficienza dell'azienda.
Grazie alle convenzioni stipulate con imprese che si occupano di servizi alla persona e con importanti partner commerciali, attraverso la piattaforma Day Welfare è possibile offrire ai propri dipendenti un ampio ventaglio di beni e servizi.
Qual è la differenza tra fringe benefit e welfare aziendale?
Il welfare aziendale e i fringe benefit sono entrambi strumenti a disposizione delle aziende per incentivare e premiare i propri dipendenti, ma esistono alcune differenze significative fra i due.
Il welfare aziendale riguarda un insieme di prestazioni e servizi offerti dall'azienda ai propri dipendenti con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita del lavoratore e della sua famiglia. Questi servizi sono di solito erogati in modo gratuito o scontato e possono riguardare ad esempio l'assistenza sanitaria integrativa, l'accesso a servizi di asilo nido, il supporto per l'acquisto di beni come computer o biciclette. Inoltre, il welfare aziendale è in genere riconosciuto a tutti i dipendenti o a una specifica categoria.
I fringe benefits, invece, sono vantaggi e premi aggiuntivi che l'azienda concede ai propri dipendenti. Essi possono riguardare ad esempio la possibilità di partecipare a eventi sportivi o culturali, l'accesso a corsi di formazione, la concessione di auto aziendali o il rimborso spese per pasti e trasporti. I fringe benefit possono essere concessi a tutti i dipendenti o solo a una parte di essi in base alla loro posizione all'interno dell'azienda o ai risultati raggiunti.
Sebbene negli ultimi anni il legislatore abbia innalzato il limite di non imponibilità dei fringe benefit, la soglia per il welfare aziendale è molto più alta e deve sottostare a una rigida regolamentazione. Ad ogni modo, sia i fringe benefits che il welfare aziendale contribuiscono a migliorare il clima aziendale e il benessere dei lavoratori.