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Tassazione dei fringe benefit
Welfare Aziendale

La tassazione dei fringe benefits

Sono sempre di più le aziende che sviluppano piani di welfare aziendale che comprendono l’erogazione di fringe benefits. Scopri se, quando e come vengono tassati.

Considerati come benefici in natura, i fringe benefits sono beni e servizi alternativi alla retribuzione in denaro che finiscono comunque in busta paga. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla loro tassazione.

I fringe benefits sono tassati?

Secondo il principio di omnicomprensività stabilito dal comma 1 dell’articolo 51 del TUIR qualsiasi bene, servizio o somma di denaro che il datore di lavoro abbia attribuito al dipendente deve necessariamente risultare in busta paga.

Quindi tutti i fringe benefits, che sono delle agevolazioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, devono essere indicati in busta paga.

Ciò vuol dire che verranno tassati? La risposta a questa domanda è quasi sempre sì.

La maggior parte dei fringe benefits è considerata parte del reddito accumulato dal lavoratore nel corso dell’anno d’imposta e quindi viene assoggettata a tassazione INPS e IRPEF.

Diciamo quasi sempre perché ci sono dei casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione, e altri in cui le tasse sono dovute solo per una parte del valore del bene o servizio accessorio erogato dall’azienda al proprio collaboratore.

Per calcolare correttamente le imposte dovute sui fringe benefit, bisogna anche tenere conto della differenza tra la base contributiva e la base retributiva. Per quanto riguarda il versamento dei contributi, infatti, esistono delle soglie oltre le quali un bene o servizio non è più tassabile. Per il versamento dell’imposta sui redditi, invece, può diventare imponibile l’intero valore del bene, a meno che esso non sia compreso tra i casi di esclusione totale o parziale.

Solitamente, è il datore di lavoro che inserisce i fringe benefit in busta paga e si occupa di trattenere alla fonte la quota dovuta per il pagamento delle imposte. Tuttavia, anche per il dipendente è importante conoscere sempre il valore del fringe benefit che viene erogato e i casi in cui esso può essere escluso totalmente o parzialmente dalla tassazione.

Casi di esclusione dalla tassazione

Anche se la maggior parte dei fringe benefits viene tassata, ci sono diversi casi in cui essi sono esenti in maniera totale o parziale dall’imposizione fiscale.

Come per il principio di omnicomprensività, anche in questo caso a venirci in aiuto per farci capire quali sono i casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione è l’articolo 51 del TUIR, che elenca tutti i casi in cui essi sono esenti dal rientrare nella base imponibile per il pagamento delle imposte.

Vediamo quali sono i principali casi di esclusione dei fringe benefits dal pagamento delle tasse, tenendo anche conto dell’aggiornamento del TUIR alla legge di bilancio 2021:

  • contributi previdenziali versati e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza agli obblighi di legge, e i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti che hanno esclusiva finalità assistenziale fino a un importo massimo di 3615,20;
  • la somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro all’interno di mense aziendali gestite direttamente dall’azienda o da soggetti terzi;
  • la prestazione di servizi di trasporto collettivo offerta alla collettività o a una sola categoria di dipendenti, anche se affidata ad aziende di trasporto pubblico; le somme erogate o rimborsate per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico alla collettività dei dipendenti o a una parte di essi o ai loro familiari;
  • tutte le somme, i servizi e le prestazioni erogati dalle imprese alla generalità o a una parte dei dipendenti per far sì che i loro familiari possano avere accesso ai servizi di istruzione (anche scuole dell’infanzia), ai servizi di mensa ad essi collegati, alle ludoteche, ai centri estivi e doposcuola;
  • le borse di studio erogate ai familiari dei dipendenti;
  • le assicurazioni stipulate dall’azienda contro il rischio di infortuni a carico del lavoratore;
  • il valore delle azioni in stock option a condizione che rimangano in possesso del dipendente per almeno 3 anni.

Questi sono i principali casi di esclusione totale dei fringe benefits dalla tassazione. Ci sono, poi, altre agevolazioni che concorrono solo in parte a formare il reddito imponibile. Tra le più importanti ci sono:

  • buoni pasto;
  • l’auto aziendale ad uso promiscuo (se l’auto è ad esclusivo uso aziendale è invece totalmente esente dalla tassazione);
  • i prestiti a tasso agevolato erogati dal datore di lavoro ai collaboratori;
  • i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato;
  • i rimborsi spese.

Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?

La normativa di riferimento per la tassazione dei fringe benefits è il TUIR (il Testo Unico sull’Imposta dei Redditi), emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n° 917 del 22 dicembre 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre dello stesso anno), di cui ogni anno viene approvata una versione aggiornata all’attuale legge di bilancio.

L’articolo 51 del TUIR comma 3, in particolare, stabilisce anche quali siano i fringe benefits che rientrano nel reddito imponibile e i casi di deducibilità totale o parziale.

Esonero dei fringe benefit dalla tassazione

 

Secondo quanto stabilito dalla legge: tutti i beni o servizi erogati dal datore di lavoro ai dipendenti sotto forma di contributo liberale, compresi voucher, buoni sconto e omaggi aziendali (sono esclusi i buoni pasto) nel medesimo anno di imposta, sono esonerati dal concorrere alla formazione del reddito da lavoro dipendente per un importo complessivo di 258,23 euro (aumentato a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri, limitatamente all’anno 2024)

Anche i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione, ma solo nel caso in cui non siano di importo superiore ai 4 euro per quanto riguarda i buoni cartacei, e agli 8 euro per i buoni elettronici. In caso vengano erogati al lavoratore buoni di importi maggiori, la parte eccedente i limiti fissati dalla legge concorrerà a formare il reddito imponibile.

Valore normale e valore convenzionale

Al fine di inserire correttamente in busta paga gli importi che formano il reddito da lavoro dipendente, è importante conoscere con certezza il valore del bene.

Nella maggior parte dei casi, si considera come base imponibile il valore normale del bene (art. 9 del TUIR), che consiste nel prezzo praticato in media per la sua vendita.

Ci sono poi alcune eccezioni, come le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili offerti al dipendente e i prestiti in cui la base imponibile è data da un valore convenzionale.

Fringe benefits in busta paga

La quota di fringe benefits che finisce in busta paga e, quindi, viene tassata, nella maggioranza dei casi non costituisce l’intero valore del benefit.

Tra i casi più comuni di tassazione in busta paga dei fringe benefits ci sono:

  • l’auto aziendale;
  • i prestiti concessi ai dipendenti;
  • le abitazioni concesse in affitto ai collaboratori.

Nel primo caso, quello dell’auto aziendale, la somma che andrà inserita in busta paga viene stabilita servendosi di un costo chilometrico convenzionale, che è contenuto in apposite tabelle aggiornate ogni anno dall’ACI.

Per quanto riguarda i prestiti concessi ai dipendenti, la somma da inserire in busta paga è pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento (TUR) e l’importo degli interessi calcolato in base al tasso agevolato applicato dall’azienda.

Se ad un dipendente viene concessa un’abitazione in affitto, la somma che verrà indicata in busta paga è pari alla differenza tra rendita catastale + spese di gestione del fabbricato e il canone di affitto versato dal lavoratore.

 

 

Esempio di tassazione dei fringe benefits in busta paga

Vediamo un esempio concreto di come i fringe benefits erogati al lavoratore dipendente vengono contabilizzati in busta paga.

Uno dei fringe benefit più diffusi in assoluto è costituito dai buoni pasto.

Mettiamo il caso che un dipendente riceva dal suo datore di lavoro dei buoni pasto elettronici del valore di 11,50 euro. La parte che eccede gli 8 euro giornalieri sarà assoggettata al versamento dei contributi e delle tasse. Ipotizziamo che i buoni pasto gli siano stati riconosciuti per 20 giorni nel mese di marzo.
Questa sarà la sua ipotetica busta paga:

  • retribuzione lorda euro 1.850,00;
  • quota assoggettabile a tassazione                               3,5 euro x 20 giorni = euro 70,00.

Ai fini del calcolo dei contributi INPS la retribuzione da prendere in considerazione sarà pari alla retribuzione lorda sommata alla quota dei buoni pasto assoggettabile a tassazione, quindi:

1.850,00 + 70,00 = 1.920,00.

Applicando a questa base imponibile l’aliquota INPS del 9,19 % si ottiene un importo di 176,44 euro, che andrà inserito in busta paga come quota contributiva da versare.

Questo per quanto riguarda la contribuzione.

Adesso bisogna calcolare l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito da lavoro dipendente.

La base imponibile per il calcolo dell’IRPEF è data dalla somma del reddito lordo alla quota di buoni pasto assoggettabile a tassazione, a cui si sottrae l’importo dovuto per i contributi INPS, quindi:

(1850 + 70) – 176,44= 1743,56

La base imponibile per l’IRPEF è quindi di euro 1743,56. Su di essa viene calcolato l’importo dell’IRPEF lorda, a cui vanno poi sottratte le detrazioni per lavoro dipendente e gli eventuali carichi di famiglia per ottenere l’IRPEF netta.

Supponendo che l’IRPEF netta (IRPEF lorda – detrazioni) sia pari ad euro 233,50, la busta paga del dipendente comprensiva di fringe benefit sarà così composta.

 

 

Retribuzione lorda euro 1.850,00
Buoni pasto non esenti euro 70,00
Contributi INPS Euro 176,44
IRPEF netta 233,50
Netto a pagare 1510,06

Tassazione fringe benefit: le novità del 2024

 

Nel 2024 la novità più importante è stata l’aumento della soglia di esenzione dalla tassazione per i fringe benefit, limitatamente a questo anno. La soglia passa a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri. In aggiunta a beni e servizi, il datore di lavoro potrà rimborsare anche le spese per le utenze domestiche – luce, acqua e gas naturale (no GPL) – e le spese per l’affitto e gli interessi del mutuo sulla prima casa.


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